El eje del trabajo clínico es la comprensión del proceso evolutivo de la Conciencia.

El espíritu podrá volar hasta el cielo, pero el alma,

ella tiene que ir a sus profundidades, al fondo de sí misma.

Rhoda Lerman


Como abordaje holístico (integral) del Ser centra su tarea en el estudio, investigación y trabajo con la Conciencia en sus distintos niveles de manifestación.

Así entonces crea un contexto para favorecer el ingreso a estados no ordinarios de conciencia (aquellos diferentes del habitual).

El proceso de trabajo compromete todos los niveles de la persona: físico, emocional, mental y espiritual.

Aprender a moverse hacia nuevos territorios es acceder a una mayor comprensión sobre la verdadera naturaleza de quienes somos.

La activación del proceso de auto-conocimiento origina la condición necesaria para la exploración de las regiones interiores todavía inexploradas.

Estas zonas temidas desde el mismo desconocimiento son portadoras de una potente energía que espera con prontitud ser liberada a favor del crecimiento y la evolución.

miércoles, 18 de abril de 2012

La donna scheletro



Aveva fatto qual­cosa che suo padre aveva dis­ap­provato, sebbene nes­suno più ram­men­tasse cosa. Il padre l’aveva trasci­nata sulla scogliera e get­tata in mare. I pesci ne man­gia­rono la carne e le strap­parono gli occhi. Sul fondo del mare, il suo scheletro era voltato e riv­oltato dalle correnti.

Un giorno arrivò in quella baia, dove un tempo anda­vano in tanti, un pesca­tore. L’amo del pesca­tore scese nell’acqua e si impigliò nelle cos­tole della Donna Scheletro. Pensò il pesca­tore: “Ne ho preso uno pro­prio grosso!” Intanto pen­sava a quanta gente quel grosso pesce avrebbe potuto nutrire, a quanto sarebbe durato, per quanto tempo avrebbe potuto restarsene a casa tran­quillo. E men­tre stava cer­cando di tirare su quel gran peso attac­cato all’amo, il mare prese a ribol­lire, per­ché colei che stava sotto stava cer­cando di lib­er­arsi. Ma più lot­tava e più restava impigli­ata. Inesora­bil­mente veniva trasci­nata verso la super­fi­cie, con le cos­tole aggan­ci­ate all’amo.Il pesca­tore si era girato per rac­cogliere la rete e non vide la testa calva affio­rare dalle onde, non vide le pic­cole crea­ture di corallo che guar­da­vano dalle orbite del tes­chio, non vide i crosta­cei sui vec­chi denti d’avorio.

Quando si volse, l’intero corpo era sal­ito in super­fi­cie e pen­deva dalla punta del kayak.

“Ah!”, urlò l’uomo, e il cuore gli cadde fino alle ginoc­chia, gli occhi per il ter­rore si nascosero in fondo alla testa, e le orec­chie diven­tarono rosso fuoco. La gettò giù dalla prua con il remo, e prese a remare come un demo­nio verso la riva. Non ren­den­dosi conto che era aggrovigli­ata nella lenza, era sem­pre più ter­ror­iz­zato per­ché essa pareva stare in piedi e seguirlo a riva. Per quanto andasse a zig zag restava lì dietro ritta in piedi e il suo respiro roves­ci­ava sulle acque nuv­ole di vapore, e le brac­cia si lan­ci­a­vano in acqua come per afferrarlo.

Alla fine l’uomo rag­giunse il suo igloo, si lan­ciò nella gal­le­ria, e a quat­tro zampe pen­etrò all’interno. Ansi­mando e singhioz­zando giacque nell’oscurità, con il cuore che bat­teva come un tam­buro. Final­mente al sicuro.

Ma quando accese la lam­pada all’olio di balena, eccola, lei era lì, ed egli cadde sul pavi­mento di neve con un tal­lone sulla sua spalla, un piede sul suo gomito. Non seppe poi dire come fu, forse la luce del fuoco ne ammor­bidiva i lin­ea­menti, o forse per­ché era un uomo solo. Fatto sta che sentì nascere come un sen­ti­mento di tenerezza, e lenta­mente allungò le mani sudi­cie e prese a lib­er­arla dalla lenza. “Ecco, ecco”, prima liberò le dita dei piedi, poi le cav­iglie. E con­tinuò nella notte, e la coprì di pel­licce per ten­erla al caldo. Cercò la pietra focaia e accese il fuoco. Lei non diceva una parola — non osava — per­ché altri­menti quel cac­cia­tore l’avrebbe presa e get­tata agli scogli.

All’uomo venne sonno, scivolò sotto le pelli e com­in­ciò ben presto a sognare. Tal­volta, durante il sonno, una lacrima scivola giù dall’occhio di chi sogna, quando c’è un sogno di tris­tezza o di strug­g­i­mento. E questo accadde all’uomo. La Dona Scheletro vide la lacrima bril­lare nella luce del fuoco, e d’improvviso sentì un’immensa sete. Si trascinò accanto all’uomo addor­men­tato e posò la bocca su quella lacrima. Quell’unica lacrima era come un fiume, e lei bevve e bevve finchè la sua sete di anni non fu placata.

Frugò nell’uomo addor­men­tato e gli prese il cuore, il tam­buro pos­sente. Si mise a sedere e si mise a pic­chiare sui due lati del cuore. Men­tre suon­ava si mise a cantare: “Carne, carne, carne!”. E più can­tava più si rico­priva di carne. Cantò per i capelli e per buoni occhi e per mani piene. Cantò la linea tra le gambe, e il seno, abbas­tanza grande da trovarvi calore, e tutte le cose di cui una donna ha bisogno. E poi cantò i vestiti, che si togliessero dal dormiente, e scivolò nel letto con lui, pelle a pelle. Rim­ise il suo cuore nel suo corpo, e così si risveg­liarono stretti uno nelle brac­cia dell’altra, aggrovigliati dalla loro notte, in un altro mondo, bello e duraturo.

Clarissa Pinkola Estes - Donne che corrono coi lupi

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